Cerca
Home > Almanacco quotidiano > 12 febbraio 1359 – Il flagello del Conte Lando colpisce Rimini per l’ultima volta

12 febbraio 1359 – Il flagello del Conte Lando colpisce Rimini per l’ultima volta

Nel febbraio del 1359, il terrore corre per le terre dei Malatesta: sta tornando il Conte Lando. La sua fama sinistra percorre l’Italia ormai da oltre vent’anni. Con i suoi mercenari ha devastato, ucciso, stuprato, rubato, estorto. Qualcuno lo ha anche sconfitto, con il solo risultato di aggiungere sete di vendetta alla sua ferocia. E ora, il 12 febbraio o qualche giorno più tardi, i Riminesi lo scrutano atterriti dalle mura della città.

Ma chi è il Conte Lando? Non si  si conosce la sua data di nascita. Di Konrad Wirtinger von Landau si sa che è nato a Burg Landau, nei pressi della cittadina sveva di Ertingen, figlio primogenito del conte Eberardo III e di Guta von Gundelfingen. Gli spetta il titolo di conte di Landau con il nome di Corrado III, in quanto appartenente alla casata dei Grüningen-Landau, ramo dei conti di Württemberg. 

Stemma dei signori di Landau (Ingeram-Codex, 1459)

Molti titoli, ma evidentemente poche risorse se, come tanti altri piccoli nobili, si dà alla guerra mercenaria. Arriva in Italia nel 1338, combatte in Veneto, Lombardia, Piemonte. Ma la svolta arriva nel 1348, quando si unisce alla Grande Compagnia di Guarnieri d’Urslingen (Werner von Urslingen). Costui, ultimo rampollo dei Duchi di Spoleto fedelissimi agli Hohenstaufen e alla causa ghibellina, ridottosi a vendersi al miglior offerente, così si presentava esibendo l’insegna d’argento che portava sul petto: Duca Guarnieri, signore della Gran Compagnia, nemico di Dio, della pietà e della misericordia. La Grande Compagnia, o Compagnia della Corona, arruolava tedeschi, italiani, ungheresi, provenzali. Più che a un esercito assomigliava a un’orda, come quelle che ciclicamente apparivano dal nulla delle steppe. Fra i combattenti, le loro famiglie e la folla di disperati che si accodava per raccogliere le briciole delle scorrerie, arrivò a contare 40 mila persone.

L’arme degli Urslingen (a destra) e degli Zimmern

La Grande Compagnia si faceva pagare sia per combattere che per non combattere. E molte volte accettava tutte le proposte e non ne rispettava nessuna, depredando quanto poteva. Il 1348 è l’anno della peste nera in mezza Europa, quella del Decamerone di Boccaccio. I mercenari sono come la peste e anche peggio, perché dopo infinite stragi e soprusi di ogni genere e dopo undici anni in cui hanno fatto scempio più e più volte dei paesi circostanti, sono ancora lì, alle porte di Rimini.

Una città con cui i conti da regolare sono molti e di antica data. Si narrava che Malatestino Malatesta anni prima avesse combattuto contro la Compagnia una battaglia durata qualcosa come ventinove giorni. Nessuno aveva vinto, ma Malatestino dovette versare molto oro per sviare il flagello verso le terre marchigiane del parente e rivale Ferrantino Malatesta.

Ma proprio come le epidemie, le carestie e gli altri castighi divini, la Compagnia non scompare. Romagna, Toscana, Umbria, Abruzzo, e ancora Emilia, Lombardia: nessuno si può sentire al sicuro. Solo gli Ordelaffi di Forlì e i Senesi con Guidoriccio da Fogliano riescono a servirsene con più vantaggi che danni.

Guidoriccio da Fogliano

Guidoriccio da Fogliano nell’affresco di Simone Martini (Palazzo pubblico di Siena)

Nel 1350 perfino la grande Bologna è presa, spogliata senza misericordia e infine venduta ai Visconti come fosse una schiava. Ma due anni dopo Malatesta Guastafamiglia, assoldato dal re di Napoli, va fino in Campania per braccare i mercenari, li sconfigge più volte, li costringe alla resa.

Peggio che peggio. Il Duca Guarnieri se ne torna a morire nella natìa Svevia, ma capitano della Compagnia diventa colui che chiamano Fra’ Moriale e che lo stesso papa non esita a identificare con l’Anticristo. Sale in Romagna per vendicarsi, viene respinto, si sfoga su tutti i domini malatestiani nelle Marche.

Fra' Moriale (Jean Montreal du Bar; Narbona, 1303 – Roma, 1354)

Fra’ Moriale (Jean Montreal du Bar; Narbona, 1303 – Roma, 1354)

Ancora infinite efferatezze, cambi repentini di bandiera, grandi ricchezze per lui e fame inesauribile della sua truppa. Alla fine Fra’ Moriale paga i suoi delitti, decapitato a Roma. Ma ora il capitano della Gran Compagnia è Konrad Von Landau e combatte accanto ai forlivesi, contro i quali è stata proclamata addirittura una Crociata.

Il Conte Lando neppure due mesi prima di quel febbraio è a Savignano. I suoi soldati sono esausti, non mangiano da tre giorni. Risalgono il Rubicone, assaltano Sogliano: una, due, tre volte. Alla quarta, il castello cade, 134 difensori sono massacrati, il resto della popolazione è prigioniero e in balia della soldataglia. Un distaccamento non ne ha abbastanza, va a prendere Borghi: dentro al castello sono in 154, non ne sopravvive nessuno. I mercenari sciamano come cavallette, nessuno riesce a fermarli, arrivano fino a Sant’Agata. Raggiano, Strigara, Montecodruzzo, Campiano, perfino la munita Piandimeleto, si arrendono appena li vedono arrivare. Il Conte cala di nuovo in pianura, si accampa a San Lazzaro al Terzo (presso l’odierno aeroporto di Miramare), tiene la stessa Rimini sotto assedio.

La chiesettta di San Lazzaro al Terzo (Miramare)

Ma la città regge. E il freddo non dà tregua, mentre dalla campagna stremata ormai non si può più spremere niente. Bisogna tornare a Forlì, dagli amici Ordelaffi. Il Conte aggira Rimini e risale la via Emilia, lasciando di retroguardia un centinaio di malati e feriti a Sogliano con pochi altri armati. Non hanno concesso pietà e non ne ricevono: i “crociati” riminesi e i loro alleati si avventano sui mercenari e li fanno letteralmente a pezzi.

E ora che farà il Conte Lando? Si sa che ha preso commiato da Francesco Ordelaffi ed è uscito da Forlì per Porta Cotogni: dunque si dirige ancora verso Cesena e quindi a Rimini. Ma di nuovo, il Conte non osa attaccare la città. La compagnia si aggira nelle campagne, si eclissa nelle valli, sembra scomparsa nel nulla.

Invece riappare un mese dopo, il 13 marzo 1359. E’ solo una banda, ma basta per prendere di sorpresa la Tomba de’ Battagli, ovvero la grande fattoria fortificata la cui torre svetta ancora sulla riva del Marecchia. Era stata eretta nel 1229 da Balduccio Battagli, padre del celebre cardinale Gozio morto nel 1348 ad Avignone, i cui stemmi si vedono ancora a Rimini nella vetusta casetta di via Garibaldi accanto alla chiesa di S. Agnese.

Nelle cronache riminesi resta il vivido ricordo della razzia, oltre alla descrizione di quei luoghi come apparivano allora: “In ora de matino intrò in aguaito L (50) fanti in le selve dal pino in la capella de Santo Ermedo (S. Ermete) del contado de Arimino. Et in ora de nona (le 15) se partì due fanti cum uno somero, de quisti, ch’era in la ditta selva; et andò a San Martino in Cereto (oggi S. Martino dei Mulini) ala tomba de Fusso di Batagli; e dopo quisti dui ne venne quatro, ma era lunge assai l’uno dall’altro, e mostrò che andasse per macinare grano”. 

La Tomba de' Battagli

La Tomba de’ Battagli, fra San Martino dei Mulini e Corpolò

E la cronaca prosegue: “Ogne omo de quella tomba era a lavorare. Eraglie uno omo de più de LXXX (80) anni, che non faceva bona guardia. Quisti gli domandò da bevere: questo omo andò per adurre vino; quisti entra dentro, e leva el ponte, e prese questo omo antico, e montono nela torre, e fece fume; e quigli, c’erano in aguaito, corse subito et intronno in la dita tomba. Questa como era fornita, non bisogna de dire, ché era tanto el grano, vino, carne sallata e lino e panni de ogni raxone, che era senza numero”. 

Ma poi la scia di orrori si sposta nei territori di Fano e di Urbino, quindi giunge a Fabriano, Serra San Quirico, minaccia Camerino e San Severino. Il Conte Lando estorce 8 mila fiorini per risparmiare le due città e altri denari ancora al legato pontificio per andarsene e non rimettere più piede negli stati della Chiesa. Si favoleggia di 30 mila, forse 50 mila ducati, più nobili ostaggi come Roberto Alidosi dei signori di Imola, Berardo da Varano di quelli di Camerino e un figlio di Smeduccio Salimbeni che teneva San Severino. Ma in Romagna non ritornerà più.

Le sue fosche avventure continueranno fra alti e bassi. Più di una volta, come nella valle del Lamone sopra Faenza o in Abruzzo, erano stati i poveri contadini esasperati a sbarrargli la strada e decimare l’orda. Quando dall’Umbria vuole invadere la Toscana, spalleggiato da Perugia, Siena e Pisa, si forma una coalizione d’emergenza che mette insieme Firenze, i Visconti di Milano, Francesco da Carrara signore di Padova, il marchese di Ferrara Aldobrandino II d’Este, Luigi d’Angiò figlio del re di Francia e il legato pontificio cardinale Egidio d’Albornoz. Il comando delle truppe alleate viene assegnato a Pandolfo Malatesta, che è già capitano dei Fiorentini; il Conte Lando viene messo in rotta. Ma per debellare quanto restava di questa piaga biblica ci vorranno altri mercenari, quelli della Compagnia Bianca di Albrecht Sterz, che l’aveva fondata insieme all’inglese John Hawkwood, Giovanni Acuto.

3054-Paolo_Uccello_044

Giovanni Acuto (John Hawkwood) nel celebre dipinto di Paolo Uccello

Accade a Novara e questa volta per il Conte Lando non c’è scampo; colpito da una lancia al braccio destro e fatto prigioniero, il 22 aprile 1363 muore per le ferite riportate.

Dissero di lui:

“Un capitano tedesco ubriaco, che passò la maggior parte del tempo al tavolo del banchetto a bere vino” (Pietro Azario, 1312-1367?)

“Publicus latro, qui quasi totam Italiam expoliaverat” (Sozomeno da Pistoia, 1387-1458).

“Costui poco si curava di spargere il sangue per altrui” (Ludovico Antonio Muratori, 1672-1750).

Rimini ha dedicato una delle principali di San Giuliano Mare a Lucio Lando (1357-1402?), uno dei figli del Conte Lando. I motivi di questo onore restano misteriosi, considerato che anche costui, senza essere stato nemmeno un gran condottiero, si creò una fama sinistra seguendo fedelmente le orme del padre in crudeltà e slealtà. E che a Rimini non compì alcun fatto significativo procurando in compenso solo danni, come del resto a buona parte dell’Italia.

Via Lucio Lando a San Giuliano Mare

Ultimi Articoli

Scroll Up