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1 marzo – Chi u’n bala a Carnivèl o c’l’è mort o che sta mel

Vi sono ben tredici santi che portano il nome di Albino e tre di essi sono celebrati lo stesso giorno, il 1° marzo. Non è quindi facile sapere chi sia il Sent’Albè secondo Gianni Quondamatteo onorato oggi in Romagna: S. Albino martire venerato a Colonia, s. Albino vescovo di Angers o s. Albino vescovo di Vercelli? Più probabilmente l’ultimo, che, vissuto nel V secolo, pare abbia avuto stretti contatti con Ravenna ai tempi delle invasioni dei Goti di Alarico e degli Unni di Attila.

Quest’anno però il primo di marzo è e’ martidè lov, il martedì grasso. Ma oggi l’ultme dè ad Carnivèl non rende neppure pallidamente l’idea di cosa rappresentasse la ricorrenza fino a non molti anni fa. Prima del Ferragosto, delle Notti Rosa e dei Capodanni più lunghi del mondo, per secoli è stato questo il momento della festa più sfrenata. Tradizione licenziosa e paganeggiante cancellata nei Paesi divenuti rigidamente protestanti; quindi per loro motivo di attrazione turistica irresistibile verso le nazioni rimaste cattoliche.

Il Carnevale raggiunse il suo apice nel Settecento e già allora quello di Venezia era fra i più celebri d’Europa, ma quello di Roma gli era pari se non superiore. Un terrazzo lungo Via del Corso, dove avvenivano le sfilate, veniva affittato a peso d’oro; le spese per carri, carrozze, feste e costumi regolarmente rovinavano intere famiglie. Ma tutto si sarebbe fatto pur di apparire e le stesse città gareggiavano fra loro in eccessi e bizzarrie. Quando queste venivano limitate o addirittura soppresse per motivi di ordine pubblico (a Rimini accadde per esempio nel 1793, temendo contagi giacobini), il malcontento verso i governanti superava ogni livello di guardia. Né duravano a lungo le astensioni dai festeggiamenti per penitenza (come a Rimini dopo il terremoto del 1672).

“Il ridotto Dandolo”: il Carnevale di Venezia dipinto da Pietro Longhi (1757-60)

Come è rimasto solo nei proverbi, un tempo Carnevale iniziava subito dopo l’Epifania: “Da Pasquetta, Carnivèl a bachetta”, dopo Pasquetta Carnevale a tutto andare. E naturalmente, “Per Carnivèl ogni scherz e’ vèl”, ma aggiungendo “basta cu j sia e’ sel”, basta che ci sia il sale, un po’ di cattiveria. Spesso ce n’era fin troppa e i mascheramenti davano occasione per regolamenti di conti e delitti. A Rimini, per esempio, Raimondo Malatesta, braccio destro di Roberto il Magnificovenne ammazzato a coltellate mentre usciva da una festa in maschera da qualcuno travestito da pellegrino durante il Carnevale del 1492 .

Immancabili i responsi meteorologici: “Se e’ piov i dè luv, u j è de’ gren e di marzùl”, se piove nei giorni “grassi” ci sono del grano e dei “marzatelli” cioè tutto quanto si semina a marzo.

Si “seminavano” anche famiglie, perché Carnevale era il periodo canonico per i fidanzamenti.

Ma la festa prevaleva su tutto e a tutti i costi: La galèina ad Carnivèl, se la n’ s’ magna, la va da mel”, la gallina del Carnevale, se non si mangia, va a male; A Ravenna, “La galena de mert lov, che se la n’ s’ mâgna, la va in malor”, la gallina del martedì grasso, che se non si mangia, va in malora.

E soprattutto, “Chi u’n bala a Carnivèl o c’l’è mort o che sta mel”, chi non balla a Carnevale o è morto o sta male.

 

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