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1 maggio 1898 – Rivolta contro la fame, a Rimini assaltati forni e mulini

Alle prime ore del mattino del primo maggio 1898, a Rimini una folla formata soprattutto da donne e bambini va all’assalto di mulini e panifici, saccheggiandoli. Nel pomeriggio arrivano anche i braccianti e vengono svuotati a forza diversi depositi di farina e granai.

In quel 1898, il pane costa anche 60 centesimi al chilogrammo, quando un operaio guadagna fra le 1,50 e le 1,75 lire al giorno. Un bracciante prende ancora di meno e non lavora tutti i giorni.

Tumulti a Rimini sono già scoppiati il 30 aprile, ma non solo: fatti analoghi stanno accadendo nel resto della Romagna e in Puglia, fin dal 26 aprile. Sarà la più grave e tragica crisi sociale vissuta dal Regno d’Italia da quando è nato.

Bari, la "rivolta della farina" a fine aprile 1898

Bari, la “rivolta della farina” a fine aprile 1898

La situazione nazionale era già problematica per la notevole disoccupazione e i bassi salari, ma il fatto decisivo per il malcontento di massa è l’aumento del costo del grano e quindi del pane da 35 a 60 centesimi al chilo a causa degli scarsi raccolti e, in parte, all’aumento del costo dei cereali d’importazione dovuto alla guerra ispano-statunitense nella quale la Spagna aveva perduto numerosi possedimenti coloniali quali Cuba e le Filippine, passati alla nuova potenza emergente degli Stati Uniti d’America.

Maggio 1898, barricate a MIlano

Maggio 1898, barricate a Milano

I radicali di sinistra in parlamento e i nascenti movimenti popolari, repubblicani, socialisti e cattolici, hanno tentato di organizzare la protesta in modo pacifico per poter ottenere dal governo riforme in senso democratico. Ma il malessere popolare da una parte e la chiusura a ogni istanza dei ceti dominanti sono stati tali da far prevalere le insurrezioni spontanee di tendenza anarchica. Non esiste alcun progetto rivoluzionario, ma ormai l’avversione popolare contro tutte le istituzioni statali e i “signori” è talmente diffusa ed esacerbata da straripare ovunque nella sommossa.

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“L’Ausa”, organo del Comitato cattolico diocesano riminese, scrive il 7 maggio: «I fatti di Rimini come di altri luoghi, questo hanno di nuovo, che segnano nel cammino delle idee umane, un passo avanzato del socialismo e dell’anarchia. Noi a più riprese svolgendo ed analizzando il sistema liberale abbiamo dimostrato che esso mena direttamente al socialismo ed all’anarchia e nei fatti di Rimini, di Faenza, di Bari e di Napoli ecc. si è veduto il socialismo e l’anarchia in pratica».

I rivoltosi «hanno passato ogni misura: nell’odio contro i signori, nel disprezzo dell’autorità e nello spirito di distruzione per cui non sono rifuggiti da atti assolutamente vandalici». Il «grosso del popolo tumultuante era composto di donne e di fanciulli». Dietro di loro il foglio cattolico intravede «i caporioni che istruivano i coscritti nelle grida sediziose, negli atti vandalici e ne dirigevano i movimenti agli scopi prefissi». Dal 30 aprile a mezzogiorno sino alla sera di domenica primo maggio «i tumultuanti, lavorando anche la notte, avevano svaligiati parecchi magazzini di granaglie e diversi depositi di farina senza che l’autorità li disturbasse riportandone ricco bottino, che pacificamente si divisero fra loro». 

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Maggio 1898, le truppe accampate in piazza del Duomo a Milano

Tanto per dare il clima dell’epoca, il risultato di questi articoli non certo incendiari è che il prefetto di Forlì il 22 maggio chiude la sede riminese dell’organizzazione cattolica Opera dei congressi, istituita tre anni prima, ed il 2 giugno sospende la pubblicazione dell’Ausa, perché «si è sempre dimostrato assai vivace ed animoso contro il partito dell’ordine e contro il governo».  Per non dire, naturalmente, delle severe misure contro anarchici, socialisti, repubblicani.

Milano, maggio 1898: batterie di artiglieria in piazza Cinque Giornate

Milano, maggio 1898: batterie di artiglieria in piazza Cinque Giornate

Ma a Milano succede ben di peggio. Dal 6 maggio si susseguono manifestazioni e scontri con la truppa; l’8 maggio il generale Fiorenzo Bava Beccaris fa sparare con cannoni a mitraglia e mortai sulla folla dei manifestanti. Il 9 maggio viene preso a colpi di artiglieria perfino un convento, dove un assembramento di mendicanti viene scambiato per un’adunata sediziosa. In quattro giorni di tumulti (“le quattro giornate di Milano”), secondo le autorità si avranno 88 morti e circa 400 feriti, ma per il cronista e politico repubblicano Paolo Valera, i morti sarebbero stati almeno 118, mentre testimoni oculari parlano di oltre 300 vittime. Tra i soldati a Milano si contano due morti: uno si spara accidentalmente e l’altro viene fucilato sul posto per essersi rifiutato di aprire il fuoco sulla folla ad altezza d’uomo.

Fiorenzo Bava Beccaris

Il generale Fiorenzo Bava Beccaris

Bava Beccaris sarà decorato dal re. E Umberto I, il 29 luglio del 1900 a Monza, sarà assassinato dall’anarchico Gaetano Bresci, emigrato negli Stati Uniti d’America e tornato appositamente, come dichiara, “per vendicare i morti del maggio 1898 e l’offesa al popolo italiano per la decorazione conferita da Umberto a Bava Beccaris”. 

Umberto I di Savoia, re d'Italia

Umberto I di Savoia, re d’Italia

(Nell’immagine di apertura, tavola di Achille Beltrame pubblicata sulla Domenica del Corriere sui fatti di Milano del 1898)

Ai fatti del Novantotto  Lucio Dalla nel 1975 ha dedicato la canzone Le parole incrociate, su testo di Roberto Roversi:

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