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The Square, opera d’arte vera che squarcia tutte le ipocrisie

Se prendo una borsa e la metto al centro della sala, ciò rende quella borsa un’opera d’arte?
Neppure Christian (Claes Bang), che è il curatore di un museo d’arte contemporanea a Stoccolma, sa rispondere a questa domanda. E tanto meno un suo amico artista, che sarà invece il primo a non stare al gioco di una stravagante performance, in cui Oleg (Terry Notary) sferrerà un brutale attacco fisico alla borghesia svedese, seduta distintamente a una cena di gala.

E allora iniziano ad affiorarne altre, di domande, e come in un effetto domino, la vita del protagonista sprofonderà nel caos: questa è la minacciosa profezia (poi realizzatasi) che un bambino immigrato muoverà nei confronti di Christian, dopo che quest’ultimo l’aveva accusato – ingiustamente – di avergli rubato cellulare e portafogli.
Tutto quel suo mondo di politically correct, cultura della tolleranza, alta borghesia e intellettualismo, inizierà a incrinarsi, poco a poco.

In una conferenza stampa, ad esempio, è lecito fare casino? Si può parlare sopra a chi parla? E le parolacce, le parolacce si possono dire? Troia! Tira fuori le tette! Coglione! Vaffanculo! Merda! Si può dire? E se l’uomo a dirle è affetto dalla sindrome di Tourette, cambia qualcosa? Chi merita più rispetto? Un artista che spiega la sua opera, la giornalista che lo sta intervistando, il pubblico che ascolta, o un malato?

Tollerarli tutti – come ipocritamente i presenti sono portati a fare – vorrebbe dire, in realtà, non rispettarne neanche uno: l’artista dovrebbe fermarsi ogni 5 secondi? La giornalista dovrebbe farsi chiamare puttana? Il pubblico dovrebbe rinunciare a sentire? Un uomo affetto dalla sindrome di Tourette dovrebbe smettere di insultarli?

Tra l’altro, Christian, se la scoperà pure, una ragazza che ha fatto il verso a quell’uomo affetto dalla sindrome di Tourette. Prima davanti e poi dietro, fino a che non verrà. L’ha conquistata – come le dirà lui stesso, da spaccone – grazie alla sua posizione di potere, che tanto piace alle donne. Strano, a pensarci, dato che a dirlo è un intellettuale che si batte per la tolleranza di ogni cultura e per l’uguaglianza dei diritti…

Il museo, nel frattempo, sta pensando a un modo per pubblicizzare la nuova mostra, The Square, appunto. Due giovani creativi del marketing hanno pensato a un video scandaloso, che scateni un mare di polemiche, specie in un ambiente come quello svedese, e diventi quindi virale sui social. Lo staff non ne è molto convinto, ha paura di urtare la sensibilità comune, ma alla fine accetta.

Il video ottiene subito centinaia di migliaia di condivisioni. Christian, ignaro di tutto a causa del suo scarso impegno a lavoro negli ultimi tempi, viene a sapere del video solo dopo la sua pubblicazione.

È lecito pensare a un video in cui una bionda bambina mendicante, con in braccio un peluche spelacchiato e una coperta logora, esplode all’improvviso con il solo scopo di renderlo virale? È giusto speculare sui sentimenti delle persone? E se poi il museo se ne pente, è giusto eliminarlo? Quale coerenza potrà preservare, agli occhi dei visitatori, un museo che si professa paladino della libertà d’espressione di fronte a questo atto di autocensura?

E perché tutte quelle persone che tanto si sono indignate sui social, quando ne incontrano una vera, di mendicante, fanno finta di niente senza neanche guardarla negli occhi?
Nel bel mezzo di queste domande c’è la vita privata di Christian, un avvenente e ricco intellettuale divorziato, e il significato di The Square, l’istallazione che egli ha fortemente voluto. “Il quadrato è un santuario di fiducia e amore, entro i cui confini tutti abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri”, recita il pannello esplicativo.

Il quarantenne Ruben Östlund è riuscito, dopo aver impressionato già con Forza Maggiore, a concepire un’opera addirittura superiore – che non a caso ha vinto la Palma d’oro a Cannes: una satira d’autore che fa a pezzi le ipocrisie dell’odierna civiltà occidentale, mescolando sapientemente topoi della commedia (la lettera a quattro mani, l’esilarante contesa del preservativo, il voyeurismo ecc.) e aspetti profondamente innovativi e coraggiosi, come ad esempio utilizzare l’impressionante corporeità di Terry Notary – famoso per il suo motion capture in film fantasy come Lo Hobbit o Il pianeta delle scimmie – in un contesto completamente diverso.

Usciti dal cinema non avremo trovato una risposta alla domanda iniziale, ma avremo comunque una certezza: The Square è un meraviglioso esempio di cosa dovrebbe essere, nel 2017, il cinema d’autore; e questa, senza dubbio, è davvero un’opera d’arte contemporanea, che si candida con grande autorevolezza a vincere l’Oscar per il miglior film straniero.

Edoardo Bassetti

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