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Rimini FC, Grassi a tutto campo: “Nessuna trattativa, i Croati solo un’enorme seccatura”

«Con i Croati non c’è nessuna trattativa in corso, quello che faremo lo decideremo a fine campionato, tutte le voci che girano in questo momento per noi sono solo una enorme seccatura». Giorgio Grassi, presidente del Rimini FC, torna con forza a difendere il suo progetto, ricco di tante soddisfazioni ma fonte anche di numerosi problemi: «La mattina mi sveglio pensando al Rimini e la notte vado a dormire che penso ancora lì».

Presidente, a che punto sono le trattative con Ivan Mestrovic che dopo il Santarcangelo afferma di voler comprare il Rimini?

«Non c’è nessuna trattativa. Come ho detto anche incontrando i tifosi, decideremo cosa a fare alla fine di questo campionato, sperando di aver raggiunto l’obiettivo che ci siamo prefissati, quello della promozione».

Ma i Croati dicono di poter portare il Rimini in Serie B fondendolo con il Santarcangelo? Secondo lei è un progetto realistico?

«Non so, io guardo a come stanno le cose. Per stare in serie C occorre metterci 5-6 milioni di euro per provare a vincere il campionato, per la serie B si va dai 15 ai 20 per tentare la Serie A. E solo se si arriva lì può darsi che arrivino i soldi che giustificano l’investimento. Questi signori fanno degli affari e certamente sanno farli bene. Lo dice lo stesso Mestrovic: “Il calcio può essere veicolo di grandi affari”. I grandi affari in serie C non ci sono e può anche darsi che arrivi primo e poi sei anche morto. Arrivare vivi alla meta è già una roba grossa: concludere un campionato senza grandi debiti è già un grande risultato. Se sei troppo gravato poi non ti iscrivi oppure, come fa un po’ il Cesena tutti gli anni, vendi anche ragazzini di 8, 9 anni sperando che diventino i nuovi Messi. E infatti mi chiedo un’ora al giorno chi me l’ha fatto fare, visto che ormai mi sveglio pensando al calcio e vado a letto che penso a cosa faremo domani col Rimini. Questa situazione non può durare troppo».

I giocatori come hanno reagito alle voci di una cessione del Rimini?

«Io con loro sono stato molto chiaro. Ho detto che devono mi devono guardare in faccia e che per noi questa richiesta di vendita è una seccatura enorme. “Non voglio che neppure immaginiate che il vostro lavoro qui a Rimini sia a rischio”, testuale. Quello che abbiamo promesso abbiamo mantenuto, nessuno è stato ceduto e nessuno è arrivato a sostituirlo. Ma loro non sono mica stupidi. La cosa che a loro non piace è che a luglio possa arrivare qualcuno che promette mari e monti e poi a dicembre magari ti manda via. Questo non lo sopportano».

Adesso si può dire cosa è successo veramente con mister Muccioli? 

«Quello che è successo lo possono vedere tutti, anche in campo. Dopo il gol con la Correggese abbiamo visto tutti Cicarevic farsi tutto il campo di corsa per andare ad abbracciare l’allenatore Righetti. Ecco, prima queste cose non si vedevano. Forse Muccioli non era pronto ad affrontare queste sfide, non so, ma non c’erano quelle condizioni complessive che ci avrebbero permesso di lanciarci nella seconda parte del campionato nelle condizioni migliori. Mancava quella coesione del gruppo che adesso si vede eccome. Abbiamo quattordici giocatori che, sono sicuro, sono pronti a dare un litro di sangue al mese pur di raggiungere la promozione. Senza rivalità, tutti uniti. Del resto, nel Rimini giocano almeno otto, nove giocatori dell’anno scorso. E questo è un valore assoluto».

Fin qui le rose. E le spine?

«Prima delle spine, vorrei ricordare ancora l’impresa compiuta dai ragazzi a Fiorenzuola. Nessuno può dire che abbiamo avuto fortuna o che abbiamo rubato la partita, perché anche se il gol è arrivato nel recupero, gli ultimi venti minuti li abbiano giocati nella loro area. C’è stato un cambio di mentalità. Questo è l’atteggiamento che ti fa meritare la vittoria, non è solo questione di fortuna. E’ ben diverso da cosa è capitato alla Sangiovannese contro di noi, per capirci, quando abbiamo giocato alla grande e loro alla fine hanno azzeccato un calcio d’angolo».

Ma è soddisfatto di come la città sta seguendo il Rimini?

«Beh, devo prendere atto che il nostro slogan “poco da tanti” purtroppo non sta funzionando. Secondo me era possibile che qualche centinaio di aziende dessero 100, 200 euro. Evidentemente non è così e questa forse è la delusione più grande che ho avuto. Ma non sta funzionando nemmeno il “tanto da pochi”, lo avevamo messo nel conto. Maggioli dice una cosa molto giusta quando afferma che lui i soldi li mette dove gli pare. Non è però molto giusto che io metta 20 mila euro per ripulire la facciata dello stadio, con il 65% di esenzione fiscale, e nessun altro metta niente. Non è giusto nella logica di uno sport nazional-popolare che oggi a Rimini fa il 90% della visibilità, dell’audience sui media e del chiacchiericcio di tutti i giorni».

E lo stadio?

«La situazione è stabile, nel senso che non si vedono novità. Niente investimenti, niente di niente. O la politica ha altri pensieri o la burocrazia per far bene il suo mestiere fatica a far partire dei progetti, non lo so. Ci sono molte cose che non dipendono dal Rimini FC, noi cerchiamo di far bene quelle che dipendono da noi».

Rimini vuole bene al calcio?

«Io continuo  a pensare che il Rimini sia di tutti e infatti ho detto che se si dovesse arrivare a una cessione i soldi non li tengo per me. Il Rimini è di chi va allo stadio, di chi legge i giornali, di tutta la comunità. Di questo resto profondamente convinto. E sappiamo che il calcio può darti anche un’immagine con un suo rientro. Sarà anche un vantaggio impalpabile, ma pensiamo cosa sarebbe se si potesse dire che a Rimini  hanno un’idea nuova del calcio, che tentano nuove vie. Se potessimo fare a Rimini il calcio bene, al di là della categoria ma bene come progetto, sarebbe un gran bel segnale. Il calcio è qualcosa che magari non ci cambia la vita, però ci piace, qualcosa più o meno ne sappiamo tutti. E allora ci potrebbe essere il coinvolgimento dell’amministrazione, è normale che potrebbe fare qualcosa in più; come qualcosa in più potrebbe fare la tifoseria. Con qualcosa in più da tutti arrivano poi le grandi cose. Posso fare un’ultimo esempio?».

Prego.

«All’apogeo dell’impero romano in tutto il territorio esistevano 700 anfiteatri. Una cultura come quella latina, che ha prodotto Seneca, Marco Aurelio si appassionava ai circenses.  Se si vede la lettera a Lucinio di Seneca pare di leggere un ottimo sociologo dei nostri giorni, perchè tratta di cose che fanno parte della psicologia umana, della socialità. Se quella cultura aveva prodotto più di 700 luoghi dove si poteva andare a divertirsi, e i circhi per le corse, e le terme, un motivo evidentemente c’era. Se dicevano panem et circenses significa che il divertimento è un interesse primario come il pane. E allora perché una città come Rimini non riesce a pensare che 20 milioni spesi in uno stadio avveniristico, che ospiti eventi tutto l’anno, non vale un quinto dell’investimento che fa per il trasporto di costa? Che per i prossimi anni sarà in perdita e coi tempi di realizzazione che abbiamo visto: perché? E anche nell’interesse del turismo, perché Rimini non potrebbe lanciare il messaggio che uno stadio moderno non lo fanno solo i magnati dei grandi club, ma lo può fare una comunità? Possibile che non ci arriviamo? Sono anche domande culturali. Rimini aveva un anfiteatro da 10 mila posti in una città di 15 mila abitanti. Significa che quando facevano quelli che noi oggi chiamiamo “eventi” arrivava gente da lontano e per questo si era scelto di farlo qui l’anfiteatro e non in altre città della regione. Oggi è l’anniversario di quando Giulio Cesare ha passato il Rubicone: il dado è tratto! Noi lo lanciamo questo dado?».

Stefano Cicchetti

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