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Home > Cultura e Spettacoli > E Rimini cambiò nonostante Pasquini

“Luigi Pasquini. Un cronista del pennello”. A cura di Annamaria Bernucci. Introduzione di Pier Giorgio Pasini. Testi di Michela Cesarini, Umberto Giovannini, Sergio Sermasi, Oriana Maroni -Banca Carim.

La segnalazione di questo libro richiede alcune considerazioni preliminari che non riguardano solamente questo volume.

La prima è che in occasione delle festività 2017 le banche riminesi non hanno edito strenne natalizie: si è interrotta la bella serie annuale della Banca Popolare Valconca, la Fondazione Cassa di Risparmio non ha edito nulla, e neppure quelle di credito cooperativo. Mi è stato detto che la Banca d’Italia ha posto uno stop alle pubblicazioni degli istituti bancari. Ma forse le nostre banche non stanno più così bene da potersi permettere ancora questo piccolo “lusso”. Staremo a vedere nel prossimo futuro cosa succederà.

La seconda è che questo catalogo della mostra su Luigi Pasquini (in corso al Museo di Rimini sino al 17 febbraio prossimo) è probabilmente l’ultima pubblicazione della Banca Carim così come l’abbiamo conosciuta sino a fine anno. Il saluto iniziale è infatti di Sido Bonfatti, presidente della Cassa di Risparmio di Rimini fino a qualche giorno fa, prima dell’arrivo degli uomini del Gruppo Bancario Crédit Agricole  che l’ha rilevata. Sarà interessante capire come la secolare storia di sostegno della banca riminese alle attività culturali ed editoriali locali proseguirà (se proseguirà …).

La terza considerazione invece riguarda proprio questo libro. Ci chiediamo perchè realizzare ora questa mostra: per i 120 anni della nascita ? Per i 40 anni dalla morte? Due anniversari non canonici.

Scrive Bonfatti: “Banca Carim ha patrocinato l’edizione del catalogo alla mostra chiamando a raccolta i più accreditati studiosi dell’Artista” e prosegue: “La ricostruzione storica e filologica della vita culturale di una città passa anche attraverso lo studio dei suoi artisti più rappresentativi: Luigi Pasquini, pittore, grafico, incisore, giornalista, scrittore, personaggio poliedrico e controverso, è stato indubbiamente un protagonista emblematico, per quanto sui generis, del Novecento riminese”. Tutto questo non risponde alla nostra domanda.

E poi la figura di Pasquini (e non da ora) è talmente controversa che diversi saggi presenti nel catalogo “menano” sul protagonista: incomincia Pier Giorgio Pasini sostenendo che “a me continuerà a rimanere difficile perdonarti non tanto le tue innocue vedute grandangolari e traballanti delle piazze riminesi e le pascoliane vedute di paesaggio, quanto il buon senso paternalistico con cui hai condizionato per anni l’opinione pubblica locale, le continue denigrazioni di ogni forma d’arte moderna, le banalità e i luoghi comuni con cui hai contribuito a modellare una mentalità collettiva priva di problematiche culturali e di ogni slancio di ricerca”.

Ed ancora: “Alla prova del tempo degli scritti di Pasquini non si salva molto; non so quanto, alla prova del tempo, si salverà della sua pittura che risulta sempre decisamente provinciale e anacronistica, cioè ritardata”.

Pasquini, oltre a centinaia di articoli, presentazioni, note, scrisse tre romanzi: “Il podere sulla Linea gotica” (Cappelli, 1951), “Romagna per lettori e veditori” (F.lli Lega, 1957), “La professoressa” (Cappelli, 1964). Nonostante tutti questi rilievi critici  Pasini conclude:“I suoi acquerelli e i suoi scritti sono piaciuti. Ha interpretato fedelmente e anzi ha confermato (o condizionato) autorevolmente il gusto tradizionalista e provinciale della borghesia riminese, ammonendola di stare in guardia dalle novità dovute al montante materialismo (naturalmente bolscevico) dei tempi moderni”.

La stessa curatrice della mostra Annamaria Bernucci è costretta a prendere atto, a conclusione del suo intervento, che “l’inadeguatezza a capire quella diffusa esperienza di ‘avanguardia di massa’ che si pronunciava già dagli anni Cinquanta ha fatto finire Pasquini in una sorta di forzosa rimozione da parte della critica più avvertita e smaniosa di nuovo. Retroguardia, ormai Pasquini è artista del passato e quel suo agire all’interno di un romagnolismo di maniera gli preclude vie d’uscita”.

“Sognare è un’avventura della mente che coniuga visionarietà e affondi psichici cioè tutto ciò che il nostro Pasquini ha in qualche modo prudentemente eluso, stando alla larga da desideri di riforme e avventure artistiche. Ciò configgendo con la sua indole e con la sua educazione culturale, già ampiamente scaduta al sorgere del secondo dopoguerra”.

E Oriana Maroni che ha curato l’ordinamento delle sue carte e dei suoi libri donati dalla moglie Felicina Rosa Perilli nel 1991 alla Biblioteca Gambalunga così lo racconta: “Esponente principe della cultura riminese negli anni del Ventennio, Pasquini si ‘inserisce’ nel fascismo più per la via del ‘sentire’ che dell’adesione ideologica. E la romagnolità, il ruralismo, il tradizionalismo, ne sono i principali veicoli”.

“Crollato il vecchio mondo nel sangue della guerra civile, Pasquini torna a essere il cronista e il cantore delle cose del luogo, il ‘pittore e pubblicista di provincia inserito però in una sua rete non locale, e in corrispondenza con giornalisti e scrittori nazionali (quelli di un tempo’” (Liliano Faenza).

“Il suo mondo è quello degli artisti e scrittori di memorie cittadine incapaci di riscattare gli studi locali, abbandonati ‘al luogo comune etnico che surroga la storia’” (Renato Zangheri).

La sua contrapposizione al nuovo sul fronte dell’arte e delle lettere, si accompagna a quello politico, in particolare contro gran parte delle scelte dell’amministrazione comunale riminese volte ad ammodernare una città che stava profondamente cambiando. In anni di duro scontro politico, di contrapposizione totale fra gli schieramenti, Pasquini sulle ‘barricate’ c’era sempre.

E con lui ci sono i nomi della borghesia cittadina e dei suoi aedi, tutti fermamente uniti dalla nostalgia per il passato, scrittori e artisti: Nevio Matteini, Giulio Cesare Mengozzi, Flavio Lombardini, Oreste Cavallari, Carlo Alberto Balducci, Luigi Arduini, Edoardo Pazzini, Guido Ricciotti, Armido Della Bartola e naturalmente lui, Luigi Pasquini. Tutti trovarono i quei decenni ampi spazi per le loro polemiche, artistiche e politiche, sulle pagine de Il Resto del Carlino.

Ma Pasquini fu anche “amato”. Giulio Cesare Mengozzi sulla rivista La Piè nel 1977, in occasione della morte, così lo ricorda: “Un pezzo d’accidente alto due metri, granatiere di Sardegna, nato nel più turbolento dei sobborghi riminesi, quello di San Giuliano, uno di quelli che ridendo e scherzando non lasciano più la preda. Letteratura, arte, folklore, musica nutrirono il suo spirito, e il carteggio con i maggiori esponenti della cultura contemporanea furono il più sentito degli interessi del suo intelletto e del suo cuore”.

Concludendo: un racconto impietoso di un personaggio che si sentiva protagonista a dispetto della realtà che stava cambiando e che lui non capiva (ma forse non accettava neanche). Eppure i suoi acquarelli sono a tutt’oggi rimasti cari a tanti riminesi, che li hanno conservati con amore. E che hanno generosamente prestato per la realizzazione della Mostra.

Se un segno però questa esposizione deve lasciare è quello della necessità di dedicare attenzione e studio ad una città, Rimini, che negli anni ’50, ’60 e ‘70 seppe trasformarsi e vincere la sua scommessa: risorgere dalle macerie della guerra e diventare la capitale del turismo italiano ed europeo.

E questa scommessa fu vinta anche grazie ad un mondo di intellettuali che seppero contrastare le nostalgie del passato tanto care a Luigi Pasquini e ai suoi amici.

Paolo Zaghini

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